martedì 21 aprile 2009

La Cuciniera Genovese - prima edizione: 1863



lunedì 20 aprile 2009

Lo Champagne delle Fate



Ci è piaciuto subito il nome: lo champagne delle fate. La ricetta è tratta dal libro La cucina di Robin Hood, una divertente guida alla raccolta di frutti, fiori ed erbe da cucinare insieme ai bambini: le preparazioni sono semplici e hanno tutte il fascino delle fiabe.
Così siamo tornati da una passeggiata con delle bellissime ombrelle di sambuco, che messe a fermentare al sole in uno sciroppo di acqua, zucchero e limone, imbottigliate e lasciate due settimane in cantina, danno un "vero" spumante! La bottiglia fa il botto, e questo vale già il lavoro, il "vino" è gasato al punto giusto, leggermente asprigno e aromatico.
In realtà ho scoperto che l'origine di questa preparazione è molto antica e tramandata dal sapere contadino come vino dei poveri, la ragione si intuisce. Ne ho trovato una variante anche su un vecchio libro di cucina ligure La cuciniera genovese: possiedo la tredicesima ristampa, datata 1947, dell'edizione originale che risale al 1863. La mia nonnina 95enne me l'ha affidato ieri, quasi come un testamento. Ma di questo ne parlerò poi.

L'utile e il bello


Nonna è all’epilogo della vita terrena. E’ un fiorellino avvizzito, un corpicino che si svuota, quasi si accartoccia.

Non è stata persona facile. A tratti si intuiscono ancora caparbietà e rudezza, che fino a poco tempo fa sconfinavano spesso in fastidiosa intransigenza. Ora, ogni giorno un po’ di più, gli spigoli si smussano, la malinconia si fa spazio, i pensieri volgono altrove.

Ammiro molto il modo in cui si rapporta alle cose di casa. Nella sua cucina spicca sul muro questo foglio scritto di suo pugno:


Non so che modello grammaticale segua questa frase, la curiosa e certo scorretta sintassi non è importante: il significato si intuisce e racchiude la sua filosofia di vita. Nonna Tina non ha solo cura degli oggetti, ne ha rispetto. Li usa con garbo, li ripone con ordine, ne rallenta l’usura con ingegnosi interventi di riparazione. Mantiene ogni cosa senza la minima trascuratezza, dagli utensili di cucina a quelli del cucito, ai piccoli ninnoli ricordi di vita, agli indumenti che ripara con precisione e competenza, agli ingranaggi degli ingegnosi motori messi a punto dal nonno: il torchio per la pasta, il frullatore. Nulla sfugge. Addirittura, ciò che andrebbe gettato, sia esso un tappo o un banale coperchietto, trova nella sua creatività una nuova e a volte sorprendente funzione. In certe occasioni mi è sembrata avarizia, oggi mi è chiaro che non lo è: è un approccio garbato che dà valore al tempo e all’impegno di chi quelle cose le ha costruite o ha impiegato risorse per acquistarle. Mantenerle non è solo parsimonia, è soprattutto rispetto.

Vorrei ricevere in eredità anche solo un poco di questa capacità, così diversa dal sentire odierno.

giovedì 16 aprile 2009

La MIA Pizza


Perchè la pizza è come vestito, ognuno ha il suo: alta, bassa, sottile, croccante, morbida...
La pizza è come un ‘amicizia: fatta di piccole semplici cose.
La pizza è come una musica che ti piace: basta poca per rimetterti di buon umore.
Cosicchè ognuno ha la sua. Non esiste una ricetta universale, ma bisogna provare e riprovare per giungere all’equilibrio che finalmente soddisfa. Questa che segue è la MIA, non saprei e non vorrei aggiungervi altro.

Ingredienti e procedimento.
(Niente di nuovo, ma sono i particolari che fanno la differenza
)

Acqua appena tiepida 250g

20g olio di oliva
lievito in cubetto: 10g
un pizzico di zucchero
mescolare fino a scioglimento.
Aggiungere 500g di farina, in cima 2 cucchiaini rasi di sale e impastare.
Io impasto con la macchina del pane. Quando è liscia lasciarla lì dov’è, coperta, per 30-40 minuti.

Portare ad ebollizione un po’ d’acqua in un pentolino e chiuderlo nel forno spento.

Dopo i 30-40 min oliare una teglia (in una teglia 50x35 rimarrà una pizza spessa circa 1,5 cm) e, senza ri-impastare, stendere un po’ la pasta con le mani nella teglia, quindi rivoltarla (in questo modo la superficie rimane unta e non seccherà durante la lievitazione) e terminare di stenderla. Se si fa fatica perché troppo elastica non bisogna avere fretta: stenderla un po’, poi chiuderla nel forno (che nel frattempo si è scaldato grazie all’acqua calda del pentolino), dopo 5-10 minuti sarà più morbida e si potrà finire di stenderla.
Lasciare lievitare nel forno chiuso e spento 1h – 1h 30. Nel corso di questo tempo scaldare nuovamente l’acqua nel pentolino (se è estate non è necessario).

Farcire e cuocere a 210-220.

Per quanto? Boh... il mio forno è elettrico e faccio così: quando il formaggio è fuso e comincia a dorare, sposto la teglia in basso, direttamente sulla base del forno, per 3-4 minuti (non di più sennò brucia), così il fondo diventa leggermente croccante. Anche in questa fase bisogna provare e trovare il proprio personale equilibrio.

Con lo stesso impasto si può preparare anche la focaccia. In questo caso uso una teglia leggermente più piccola per averla più spessa, inoltre dopo 1h di lievitazione faccio i buchi in superficie con le dita e bagno con abbondante emulsione, composta da olio e acqua in parti uguali e sale (i buchi devono essere colmi). Poi la lascio ancora in forno per un’altra mezz’ora e alla fine cuocio (forno statico, altrimenti asciuga troppo).

La mangiamo avidamente subito, oppure taglio a tranci e surgelo. Alle otto del mattino finisce nello zaino di Lucia, fino all'intervallo delle 10,30 ha il tempo per scongelarsi e ritornare "super", come dice lei.
 

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